Abbiamo cercato di delineare a grandi linee in che periodo ci troviamo, ma ora cerchiamo Be”H IS”L di comprendere il perché facciamo tutto ciò, in particolare soffermandoci principalmente su Shavu’ot. Shavu’ot letteralmente significa settimane, e rappresenta il completarsi delle 7 settimane di “lavoro interiore” che abbiamo effettuato durante il periodo di conteggio dell’Omer. Sull’omer e la sua relazione con shavu’ot[1] una domanda nasce abbastanza spontanea: quando solitamente una persona aspetta un determinato evento, un esame, una scadenza di progetto o altro, solitamente conta all’indietro, facendo un conto alla rovescia, qui invece aspettiamo shavu’ot, ma il conto non avviene a ritroso, anzi, ogni singolo giorno continuiamo ad aggiungere un giorno, ripetendo il conto anche per le settimane e i giorni d’avanzo. Per esempio oggi è il 42° giorno, che sono 6 settimane.
Perché tutto ciò?
Perché un grado di dettaglio così avanzato?
Contando alla rovescia abbiamo un side-effect abbastanza clamoroso: perdiamo di vista il punto di partenza, il momento dalla quale abbiamo cominciato a contare. Al contrario, contando normalmente ci rendiamo conto nettamente di quando abbiamo cominciato a contare, e ci rendiamo conto in modo evidente del tempo che passa, avendo così la possibilità di porci alcune domande:
cosa ho combinato in questi 49 giorni, in queste 7 settimane?
Come sono “cresciuto”?
Che miglioramenti ho cercato di apportare in me?
Che obbiettivi sono raggiunto, o almeno, quanto mi ci sono avvicinato?
Il conteggio dell’omer può assumere nettamente una valenza particolare per rendersi conto del tempo che passa, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, per farci rendere conto di un concetto che già all’inizio dell’omer, con il primo capitolo dei Pirqè avot, con Hillel che soleva dire “Se non ora, quando?”, ed è stato un filo conduttore che ci ha seguito per tutte queste settimane: il come “investire” il nostro tempo. Investire non è sinonimo di spendere: l’investimento prevede lo scopo esplicito di avere dei “ritorni”; la spesa invece non prevede necessariamente un ritorno, ma è solo un modo come un altro per buttare il proprio “budget” (in particolare se temporale).
L’Omer ci porta anche a comprendere ciò: il tempo passa, e dobbiamo tenerne conto. Ma se è davvero così perché non contiamo l’omer tutto l’anno? Per diversi motivi, primo tra tutti la forza d’abitudine, che ci porterebbe a far passare giorno dopo giorno come nulla, inoltre la mancanza di un punto di partenza e di arrivo netti, per poter fissare alcuni traguardi di percorso. Dobbiamo impegnarci maggiormente nello sfruttare il nostro tempo nel migliore dei modi.
[Questa derashàh è basata parzialmente su un concetto spiegato da Rav Ben Tzion Mutzaffi Shalità sul Yovel nella parashàh di Behar, che abbiamo letto due settimane fa.]
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