Allo scopo di esplicare questo tema lo Shulchan ‘Aruch ci dedica un intero סימן siman ~ n.l. capitolo il 606. Per chiedere מחילה mechilàh[1] ~ n.l. scusa non è necessario per forza essere dinnanzi alla persona, ma è possibile anche farlo con qualsiasi mezzo “lecito” di comunicazione, tale telefono, fax, e-mail, lettera. Spesso e volentieri questi ultimi sono anche meglio, specie se la causa della richiesta è pesante, poiché una persona può pensarci meglio prima di rispondere in malo modo; anzi, ci può ripensare, e a freddo, scrivere una risposta. Se frontale, diminuisce la possibilità di rispondere a freddo; nonostante ciò solitamente, se presente la possibilità è meglio la richiesta di scusa frontale. E’ permesso pure scusarsi attraverso un inviato, anche a priori se la persona è molto distante e pertanto difficile da raggiungere. Chiaramente tutto ciò dipende da persona a persona, da caso a caso.
Cosa che invece non fa uscire dall’obbligo è una richiesta generale ad un pubblico [MB 606:3] nel caso ci siano peccati particolari, è bensì necessario andare a chiedere scusa personalmente; un esempio di peccato particolare commesso verso una persona è spesso (purtroppo) il לשון הרע lashon har’à ~ cattiva lingua che (abbastanza in generale) consiste nel dire qualcosa di male su una persona anche se vera[2], o anche dire una cosa positiva davanti ad una persona che per qualche motivo la considera negativa oppure viene spinto da questa a dire qualcos’altro di male su tale persona.
[O.C. 606 e MB ivi] Nel caso la persona non voglia perdonarlo alla prima richiesta, è necessario tornare presso di lui per almeno 3 volte, ogni volta con un modo nuovo per cercare d’indurlo a perdonarlo, ogni volta accompagnato da 3 persone. Se dopo questi tentativi ancora non lo vuole perdonare, se si tratta di una persona che gli ha insegnato Toràh Haqqedoshàh, in tal caso deve proseguire a chiedere perdono. In caso contrario può convocare 10 persone ebree (al fine di rendere la cosa pubblica, poichè ogni cosa detta dinnanzi a 10 persone diviene pubblica automaticamente) e dichiarare dinnanzi a loro che lui è andato a chiedere perdono, ma questo non è stato accettato. Il Ramà riporta che è bene perdonare con cuore integro poichè bisogna ricordare che come noi ci comportiamo nei confronti del prossimo così HQB”H IS”L si comporta con noi. C’è un’esclusione: nel caso si sia fatta un’offesa (anche non dinnanzi a lui) che consista nel dire un difetto (solitamente famigliare) che non ha, per esempio se lo ha chiamato mamzer ~ figlio illegittimo. La MB [11] dice che il motivo è che anche se lo perdona comunque il danno è fatto e prima che venga ristabilita la sua reputazione può passare anche molto tempo, se non mai. Conclude però che è un comportamento “umile” perdonare comunque.
Se chas veshalom si è recato un torto presso una persona che è defunta bisognerebbe andare presso la sua tomba con 10 persone e chiedere scusa esplicitamente dinnanzi loro. Chiaramente un cohen non può entrare in un cimitero, e segua la stessa procedura di una persona che abita lontano dal cimitero: invii un inviato che davanti a 10 persone faccia la stessa procedura a nome del “colpevole”.
L’uso è che quando viene chiesto scusa, si risponda se si vuole perdonare מחול מחול מחול “machul, machul, machul” ~ n.l. “cancellata (la colpa nei miei confronti), cancellata, cancellata”.
Cosa che invece non fa uscire dall’obbligo è una richiesta generale ad un pubblico [MB 606:3] nel caso ci siano peccati particolari, è bensì necessario andare a chiedere scusa personalmente; un esempio di peccato particolare commesso verso una persona è spesso (purtroppo) il לשון הרע lashon har’à ~ cattiva lingua che (abbastanza in generale) consiste nel dire qualcosa di male su una persona anche se vera[2], o anche dire una cosa positiva davanti ad una persona che per qualche motivo la considera negativa oppure viene spinto da questa a dire qualcos’altro di male su tale persona.
[O.C. 606 e MB ivi] Nel caso la persona non voglia perdonarlo alla prima richiesta, è necessario tornare presso di lui per almeno 3 volte, ogni volta con un modo nuovo per cercare d’indurlo a perdonarlo, ogni volta accompagnato da 3 persone. Se dopo questi tentativi ancora non lo vuole perdonare, se si tratta di una persona che gli ha insegnato Toràh Haqqedoshàh, in tal caso deve proseguire a chiedere perdono. In caso contrario può convocare 10 persone ebree (al fine di rendere la cosa pubblica, poichè ogni cosa detta dinnanzi a 10 persone diviene pubblica automaticamente) e dichiarare dinnanzi a loro che lui è andato a chiedere perdono, ma questo non è stato accettato. Il Ramà riporta che è bene perdonare con cuore integro poichè bisogna ricordare che come noi ci comportiamo nei confronti del prossimo così HQB”H IS”L si comporta con noi. C’è un’esclusione: nel caso si sia fatta un’offesa (anche non dinnanzi a lui) che consista nel dire un difetto (solitamente famigliare) che non ha, per esempio se lo ha chiamato mamzer ~ figlio illegittimo. La MB [11] dice che il motivo è che anche se lo perdona comunque il danno è fatto e prima che venga ristabilita la sua reputazione può passare anche molto tempo, se non mai. Conclude però che è un comportamento “umile” perdonare comunque.
Se chas veshalom si è recato un torto presso una persona che è defunta bisognerebbe andare presso la sua tomba con 10 persone e chiedere scusa esplicitamente dinnanzi loro. Chiaramente un cohen non può entrare in un cimitero, e segua la stessa procedura di una persona che abita lontano dal cimitero: invii un inviato che davanti a 10 persone faccia la stessa procedura a nome del “colpevole”.
L’uso è che quando viene chiesto scusa, si risponda se si vuole perdonare מחול מחול מחול “machul, machul, machul” ~ n.l. “cancellata (la colpa nei miei confronti), cancellata, cancellata”.
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