La motivazione principale per questo digiuno è che in tale giorno il Re Nevuchadnezzar (spesso tradotto come Nabuccodonosor) ha assediato le mura di Jerushalaim תובב"א (che sia presto ricostruita e ristabilita nei nostri giorni Amen), sfociando, dopo poco più di due anni, nella distruzione del primo Beth Ha-Miqdash תובב"א. Questa è la motivazione principale. Quello che non tutti sanno è che abbiamo anche altre motivazioni che si aggiungono per rendere il 10 di Tevet un giorno di digiuno nei secoli.
Fondamentalmente abbiamo una regola, riportata dalla Mishnàh Beruràh (MB 549:4) per la quale non si stabiliscono più digiuni troppo vicini tra loro per non far digiunare troppo spesso il pubblico. Questo secondo alcuni, vale anche per il digiuno del 10 di Tevet. Nello Shulchan Aruch (Orach Chajim 580:2) sono riportati alcuni giorni in cui sarebbe bene digiunare, anche se non c’è un digiuno pubblico fissato in essi. Tra questi troviamo l’8 e il 9 di Tevet.
Sul 9 di Tevet lo Shulchan Aruch dice che non è chiara esattamente la motivazione del digiuno, e la MB (13) riporta che secondo alcuni in tale giorno è venuto a mancare עזרא הסופר ‘Ezrà Hasofer ~ lo scriba ע"ה, grande capo d’Israel, che ha riportato parte del popolo in Eretz Israel dall’esilio babilonese, e che sotto la sua guida è stato ricostruito il Beth Ha-Miqdash, l’ultimo profeta del popolo d’Israel.
Il giorno su cui mi vorrei soffermare maggiormente è l’8 di Tevet; lo Shulchan Aruch riporta che la causa è la traduzione della Toràh Ha-Qedoshàh in greco, sotto il re Talmai (solitamente identificato con Tolomeo II), che ha provocato tra le altre cose 3 giorni di buio nel mondo, cosa tanto grave da essere paragonabile al vitello d’oro
[1].
Il Rav “Me’am Lo’ez” la riporta
[2]: il re Talmai, desideroso di approfondire i suoi studi anche su testi ebraici, ha inviato un ordine al Cohen Gadol di mandare dei saggi. Sono stati inviati per tale occasione 6 חכמים
chakhamim ~ saggi per ogni tribù per un totale di 72. Al loro arrivo presso il re, dopo essere stati accolti in modo molto onorifico, sono stati messi ognuno in una stanza, e a quel punto è stato rivelato loro (singolarmente) che avrebbero dovuto tradurre la Toràh in greco. Dopo 72 giorni sono riusciti a completare l’opera. Per miracolo, ogni singola copia era identica alle altre, con tanto di “correzioni” identiche. Queste “correzioni” servivano per ovviare possibili scorrette interpretazioni della Toràh Ha-Qedoshàh. Per esempio anziché tradurre “In principio creò Elokim il Cielo e la Terra” hanno tradotto “Elokim creò in principio il Cielo e la Terra” per evitare che si pensasse che c’è una divinità chiamata בראשית
“Bereshit” ~ in principio.
La ghemarà (Meghillàh 9b) prosegue dicendo che l’unica lingua nella quale è possibile tradurre la Toràh è il greco, in base alla deduzione da un versetto, secondo alcune spiegazioni poiché il greco, similmente all’ebraico, ha parole plurivalenti. A questo punto la domanda nasce spontanea: Perché mai dovrebbe essere quindi un problema tradurre la Toràh, se abbiamo un versetto che “supporta” la traduzione in greco e che i chachamim sono arrivati a creare traduzioni evitando possibili cattive interpretazioni?
Inoltre, come può essere tanto grave da essere paragonabile al vitello d’oro?
Proprio da qui possiamo comprendere. La ricezione della Toràh Ha-Qedoshàh è stata fatta mediante il נעשה ונשמע “Na’asèh venishmàh” il “faremo e ascolteremo” che presuppone che l’azione venga fatta nel momento debito, e che ci sia (deve esserci) un conseguente studio e approfondimento della questione, a seconda della portata del singolo; questa comprensione non deve però delimitare l’esecuzione della mizwàh in nessuna delle sue parti. L’incomprensione, se presente, dev’essere condizionata dalla nostra poca capacità nell’approfondire; solo a seguito dell’azione la motivazione potrà essere meglio comprensibile. Il vitello d’oro, in alcuni suoi aspetti, è la negazione di questo. E’ il “nishmàh vena’asèh” “ascolteremo e faremo” – se non comprendo come si deve (nonostante possa essere per la mia pigra incapacità di applicarmi o perché non mi siano stati impartiti gli strumenti necessari (non ho mai visto risolvere un’equazione differenziale da qualcuno che non sa eseguire una moltiplicazione)) non eseguo.
Questo può portare a conseguenze disastrose: gli ebrei stessi, vedendo che Moshè Rabbenu ע"ה non scese dal monte Sinai entro il tempo che si era calcolato, in modo erroneo, lo sostituirono con il vitello d’oro.
Qui, con la traduzione della Toràh Ha-Qedoshàh, si dà ampia possibilità a ciò.
Non essendo correlata da studio della Toràh sheba’al peh (orale), non permette di comprendere a fondo, portando a creare diverse “interpretazioni”, basate semplicemente su un ragionamento, errato di partenza perché mancante di basi, ma nel suo complesso apparentemente corretto. Tali interpretazioni possono portare alla negazione delle mizwot, o al limitamento di queste a situazioni particolari come “quando me la sento” o “solo quando arrivo a comprenderle”. Queste sono le motivazioni che hanno portato al digiuno del 10 di Tevet. Possiamo, forse, Be”H trovare un nesso tra le motivazioni: sono tutti inizi di degenerazione della comprensione della Toràh Ha-Qedoshàh in modo corretto, della profezia, del servizio nel Beth Ha-Miqdash. Allo stesso modo sono tutte cause che apparentemente non fanno presagire nulla di particolarmente grave, poiché in apparenza non sono questioni terribili. I chachamim ci dicono quindi che dobbiamo digiunare, per capire che ogni azione ha delle conseguenze, ogni singola questione che affrontiamo giornalmente porta dei frutti, buoni o cattivi che siano. E a questo che dobbiamo cercare di riflettere, in particolare in questi giorni di digiuno.
E’ risaputo infatti (MB 549:1) che il digiuno in sé non è il fine, ma un mezzo, per aumentare la Teshuvàh, il ritorno verso Hashem Itbarach.
[Sulle norme sui digiuni si vedano gli articoli relativi. E' possibile cercarli cliccando sull'etichetta digiuni qui sotto]
[1] Prima di continuare, vorrei fare notare a priori che questa non vuole chas veshalom essere una critica contro le traduzioni di testi di Toràh (che oramai purtroppo si rendono sempre più necessarie, a condizione che siano realizzate secondo la Toràh sheba’al peh ~ orale, ora considerabile come costituita dal Talmud, posekim, rishonim e acharonim – in sintesi definibili impropriamente come “fonti rabbiniche”). In ogni caso il discorso sarà più chiaro successivamente.
[2] In Bereshit A,33-35 è riportata in alcuni punti in modo più ampio rispetto a Meghillàh 9, basandosi su ulteriori fonti. Sarà comunque, per ragioni di spazio, parzialmente riassunta. Si consiglia vivamente l’approfondimento dell’argomento. Lo scopo che si vuole raggiungere è fornire alcuni fondamenti di conoscenza di questioni basilari.
Fonti principali: Orach Chajim = OC; Mishnàh Beruràh =MB; Torat Hamo’adim =TH (7 se volume su Digiuni); Ben Ish Chai = BIC.